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Patrimonio architettonico
Chiesa di Santa Caterina

DESCRIZIONE ARCHITETTONICA
La chiesa è orientata con ingresso ad ovest e abside ad est, è a pianta longitudinale e presenta tre navate di cui quella centrale di altezza maggiore, separate da due colonnati. Tutte le campate interne sono coperte da volte a crociera, impostate sui pilastri a pianta ottagonale della navata centrale e sulle semicolonne circolari delle navate laterali. La facciata è a salienti, in parte in mattoni a vista e in parte tinteggiata in colore prevalente giallo. E’ presente un piccolo campanile a vela, e la copertura ha struttura lignea e manto in coppi.
La decorazione pittorica è uniforme e caratterizzata da un motivo geometrico a righe di campiture monocrome che si sviluppa lungo le pareti delle navate laterali ed i pilastri che separano la navata centrale. Le volte presentano motivo decorativo ispirato ad un cielo stellato, giallo su sfondo blu, mentre i costoloni sono caratterizzati da una decorazione floreale ripetitiva eseguita con mascherine, riquadrata con una fascia che riprende il motivo ed i colori delle pareti. La medesima decorazione a righe è presente sugli archi su cui si impostano le volte. L'abside presenta una volta costolonata scandita in cinque spicchi decorati con motivi geometrici, mentre i costoloni presentano i medesimi motivi floreali delle navate laterali. Tutto il manto pittorico è riferibile a un intervento neogotico ottocentesco.
All'interno della Chiesa sono presenti, oltre all'altare maggiore, otto altari distribuiti lungo le navate laterali, tra i quali si ricordano in particolare:
●    l’Altare del Santissimo Rosario, in laterizio con pavimento lastricato e rialzato di pietra di Barge, chiuso da una balaustra in marmo. Presenta una nicchia contenente la statua della Beata Vergine del Rosario, circondata da formelle lignee dipinte rappresentanti i Misteri, il tutto compreso tra colonne di stucco con ai fianchi le statue di San Domenico e Santa Rosa;
●    Altare dei Corpi Santi o delle Reliquie: di legno, con architettura a due colonne in mezzo alle quali vi è una nicchia contenente le reliquie poste in due piani, chiuse con una vetrata; i santi martiri Vittoriana, Gaudenzio, Placido ed Innocenza.

CENNI STORICI
L’origine della chiesa di S. Caterina risale all’anno 1519, quando il decreto di fondazione venne firmato nel mese di gennaio, dal Vescovo di Torino Claudio di Seyssel. L’edificio doveva essere ultimato entro otto anni. La chiesa sarebbe sorta nel luogo dove già nove anni prima era stata istituita una cappella, anch’essa dedicata a Santa Caterina, ma mai portata a termine. Essa si trovava nelle vicinanze del castello dei conti Piossasco-Folgore, all’esterno della cinta muraria che chiudeva l’abitato; dunque, venne realizzata dove erano “li fossi del recinto del luogo non molto distante dal castello del Signor Conte di questo luogo”. L’edificio doveva essere ultimato entro otto anni e non si hanno notizie in merito ai costruttori. La sentenza che decretava la fondazione della chiesa giunse dopo anni di richieste da parte della popolazione scalenghese, la quale doveva recarsi per le funzioni nella vicina frazione di Pieve. La sentenza decretava, inoltre, che la nuova chiesa doveva essere figlia della chiesa principale di Santa Maria Assunta della Pieve e tale rimase sino al 1825, quando dopo un lungo procedimento, fu costituita come Parrocchia indipendente.
La chiesa di S. Caterina è costruita in stile tardo gotico, rilevabile in particolare nell’abside poligonale e nei muri perimetrali con contrafforti. La facciata, invece, risale al secolo XVIII.
L’interno, a tre navate, conserva alcune testimonianze della signoria Piossasco-Folgore. In particolare, lo stemma della casata è scolpito sul piede del battistero in marmo bianco, anche se ormai quasi del tutto invisibile. Un secondo stemma si trova sopra l’altare della cappella di S. Lorenzo, la quale venne eretta a spese di Conti di Scalenghe.




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Torre Civica di Scalenghe

DESCRIZIONE ARCHITETTONICA
Eretta in sopraelevazione sull’antica porta di accesso alle mura del borgo originario. Tale porta, presumibilmente già esistente in epoca medioevale, presenta attualmente un arco a tutto sesto (in modifica al preesistente a sesto acuto). Non si hanno certezze sulla data precisa della sopraelevazione, si presume fine XIX-inizio XX secolo: la pianta della torre è quadrangolare, rafforzata da scarpe in muratura al piano terreno, la struttura è in muratura e la copertura in legno a quattro falde, con manto in coppi. Al di sopra della porta, la torre è orizzontalmente tripartita in livelli, dei quali:
●        il primo presenta sul lato ovest lo stemma comunale con il motto Super Sider Regnat, sul lato est una apertura bifore separata da colonnine a sezione circolare, su lato nord una porta, recentemente ripristinata ed in origine utilizzata come accesso all’adiacente fabbricato, ora demolito;
●        il secondo presenta aperture trifore sui lati est ed ovest e bifore sui lati nord e sud, anch’esse separate da colonnine a sezione circolare;
●        il terzo livello presenta su ogni facciata un orologio con numeri romani.
I livelli sono separati tra loro da una fascia marcapiano decorata (il terreno ed il primo) ed un cornicione aggettante in muratura (il primo ed il secondo). A coronamento dell’ultimo è presente un fregio ad archetti.L‘edificio, restaurato nel 2015, ha la particolarità di essere separato dalla chiesa, è quindi da considerarsi una torre civica e non una torre campanaria, essendo slegato dalla chiesa di Santa Caterina, sia storicamente che fisicamente.

CENNI STORICI
La torre civica di Scalenghe, esempio unico fra i comuni del circondario, si erge dove anticamente esisteva una porta di accesso al borgo medioevale, recintato da mura, il cui andamento è ancora oggi riscontrabile dalla forma pentagonale dell’abitato, visibile dalle immagini aeree.
La torre di proprietà del Comune di Scalenghe, fungeva anche da campanile e in una relazione del 1770 del pievano Paolo Giuseppe Antonio Calvo, si legge che “Il Campanile della Chiesa Parrocchiale di Santa Caterina è discosto un tiro di pietra da detta Chiesa; è posto sopra un’antica porta del luogo; è alto mediocremente ma non ha l’aspetto di campanile, consistendo in pochi pilastrini rustici innalzati sopra la detta porta e coperti col semplice tetto; ha però qualche finestra nei muri, e forma due piani”.
L’aspetto attuale è frutto di una modifica tardo ottocentesca, risolta in forme neogotiche. Sino alla prima metà degli anni ’60 del secolo scorso, sul lato nord della torre era addossato un edificio, ancora riportato sulle vecchie mappe catastali e che si riscontra nelle fotografie antecedenti quella data.
Lo stato attuale del manufatto deriva da un consistente intervento di manutenzione eseguito nel 1978, con il quale vennero rinnovate ampie porzioni di intonaco e ridipinta l’intera superficie a vista e da un intervento di restauro globale, sia esterno che interno, eseguito nel 2013.




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Chiesa di San Bernardino

DESCRIZIONE ARCHITETTONICA
L’edificio è a pianta longitudinale con ingresso a sud e abside a nord. Dal punto di vista stilistico la chiesa è barocca, “parente” di Santa Maria Assunta, costituita da un’unica navata, con l’aula che si allarga nella zona centrale. La facciata ha andamento convesso-concavo-convesso ed è scompartita verticalmente in tre campi con le lesene di ordine gigante ai lati e il portone centrale sovrastato dalla finestra rettangolare.
E’ interessante osservare il fianco dell’edificio dove a circa sei metri di altezza si vede un netto stacco nel colore e nel tipo dei mattoni. E’ possibile che la costruzione sia stata interrotta per qualche motivo e poi ripresa in un momento successivo.
Internamente la pavimentazione è in pietra, il presbiterio è molto profondo e si conclude nel coro semicircolare. Agli angoli dell’aula centrale ci sono quattro lesene su cui poggiano altrettanti archi a formare un quadrato a sostenere la calotta semicircolare. La volta del presbiterio è a botte e il coro è coperto con un catino a spicchi dove si aprono le finestre. Tutti gli archi a tutto sesto sono rialzati rispetto al piano d’imposta. 

CENNI STORICI
L’edificazione della Chiesa risale all’anno 1777, voluta e realizzata a spese della Confraternita di Santa Croce sotto il titolo di S. Bernardino. L’origine della Confraternita risalirebbe al 1603 e i suoi componenti osservavano regole specifiche, descritte in una relazione del 1770 dal pievano Paolo Giuseppe Antonio Calvo: “I confratelli vestono il sacco di color bianco, con cappuccio e cordone simile, le consorelle il sacco di tela cruda con velo simile in capo”. La confraternita era retta da un Priore con carica annuale e da cinque membri eletti che si occupavano dell’autonoma gestione della Chiesa, delle elemosine e dei suoi redditi, che consistevano in proprietà di “capitali, piccola casa, prati, campo” che nel 1770 assommavano a £ 83.
Originariamente le due festività principali che venivano celebrate erano l’Invenzione e l’Esaltazione di Santa Croce, con rito di processione del Santissimo Sacramento ed esposizione e processione della reliquia del Santo Legno ivi conservata. Funzione particolare a cui assolveva la Chiesa era quella di posa per i defunti in attesa di sepoltura.
La chiesa è edificata in forme barocche, richiamando alcuni elementi già presenti nella parrocchiale di Pieve di Scalenghe, l’interno è ad aula unica, con un profondo coro e due altari laterali. Attualmente sconsacrata è adibita a salone polivalente.




Documenti allegati:
Ammissione e indulgenze S. Bernardino
Pietra fondamentale S. Bernardino


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Cappella dei Prati (delle Marene)

DESCRIZIONE ARCHITETTONICA
La cappella è orientata con facciata principale verso sud e abside verso nord, è costituita da due distinti corpi di fabbrica in muratura, presumibilmente realizzati in epoche differenti: la porzione più antica a pianta quadrata è probabilmente stata realizzata nel 1681 (data impressa sul pavimento dell’ingresso), la porzione absidale è invece datata 1798 (data impressa sul lato nord).
La facciata è tinteggiata, prevalentemente di colore rosato, ha timpano arcuato con sottostante trabeazione, due paraste e finestra ellittica con inferriata metallica. Il semplice portale ha due lesene laterali che sorreggono una decorazione semicircolare che racchiude una scritta purtroppo non più interpretabile. Ai lati del portone vi sono due finestre rettangolari con inferriate metalliche, una per lato. La zoccolatura è in pietra. La copertura ha altezze differenti, relativamente ai due corpi di fabbrica, ed è interamente a due falde, con struttura lignea e manto in lose.
Internamente la struttura è ad aula unica, ha pavimentazione in pietra di Barge e volta a vela affrescata con quattro unghie laterali che ospitano finestre (due nel corpo di fabbrica anteriore e due in quello posteriore), mentre la volta dell’abside è suddivisa in tre spicchi. Le volte hanno decorazioni che si presumibilmente realizzate nel XX secolo. In controfacciata è situato un palco ligneo, dotato di alto parapetto con decorazioni a motivi musicali, accessibile da scala lignea. Sulla pala dell’altare è presente un’opera del pittore locale Baretta.

CENNI STORICI
La Cappella della Madonna dei Prati, un tempo chiamata Cappella delle Marene, prende nome dalla regione campestre in cui si trova. Non si hanno purtroppo dati certi sull’anno esatto della sua fondazione che presumibilmente risale alla prima metà del XVIII secolo. Da una relazione scritta nel 1770 dal pievano Paolo Giuseppe Antonio Calvo si apprende che “la cappella ha unita la stanza dell’eremita”. Il suo nome era Cristoforo Quffinato e vestiva con “un abito nero e quasi da Chierico, cioè ne talare, ne corto, chiuso davanti, e colle maniche strette alla Filippina; e senza collare da Chierico”.
Un'altra relazione del 1828 la descrive: “situata in mezzo dei prati a mezzogiorno nella facciata nella regione detta delle Marene ad un mezzo miliare distante dal luogo di Scalenghe, sotto il titolo della Epifania, vagamente adorna nel soffitto, con quadrature, lastricata di marmorine di Barge con due quadri per ornamento, orchestra, e piccolo coro ha l’altare fatto a forma di un pilastrone, ove all’antica cancellata pittura sul muro venne surrogato un quadro rappresentante Maria Santissima che ai tre Re Magi presenta il bambino per essere adorato.” Attualmente la cura della cappella è affidata associazioni e volontari scalenghesi.




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Chiesa di Sant'Anna

DESCRIZIONE ARCHITETTONICA
La struttura, in muratura, è orientata con ingresso verso nord, facciata con timpano triangolare, campanile a pianta triangolare con campana, la copertura ha struttura lignea e manto in coppi. Il portale è centrato sulla facciata, con lesene e due finestre laterali rettangolari con inferriate metalliche, e soprastante dipinto raffigurante Sant’Anna.
Internamente la chiesa è ad aula unica, con volte a vela e unghie con finestre in legno, è presente una via Crucis degli inizi del ‘900 in bachelite. Sulle volte sono presenti stucchi rappresentanti lo Spirito Santo, raffigurato con una colomba, e conchiglia su volta absidale. Si segnalano resti di meridiana sulla facciata posteriore absidale. Sono presenti internamente due statue raffiguranti Sant’Anna e San Giuseppe.

CENNI STORICI
La primaria edificazione di una cappella nella frazione di Bicocca è presumibilmente databile tra la metà e la fine del XVII secolo. Caratteristica particolare e storicamente documentata della cappella è l’affidamento della sua cura e gestione a due massari del luogo. Questi rettori avevano il compito di provvedere al mantenimento di tutte le necessità della cappellania tramite le collette del grano, ovvero la raccolta delle offerte da parte della comunità locale dei fedeli che, essendo quasi totalmente composta da famiglie di contadini, le corrispondevano non con denaro ma bensì in grano. Questa tradizione è stata portata avanti fino agli anni ‘50 del novecento, in cui a memoria dei nostri nonni i massari effettuavano il giro delle cascine intorno alla frazione con cavallo e carretto, ed in ultimo con i primi trattori, per la raccolta dei sacchi di grano offerti, che venivano conservati all’interno della cappella stessa durante le messe di novena celebrate in onore di S. Anna nel mese di luglio, onde raccogliere le ultime offerte dei fedeli, ed essere poi venduti colmi al termine dei festeggiamenti ricorrenti la terza settimana di luglio in cui il giorno 26 è venerata la santa patrona.
A partire dagli anni ’70 del secolo scorso, la cappella è stata curata da quattro rettori, due donne e due uomini, che, seppure con vari avvicendamenti ed in forme diverse e più attuali, proseguono tutt’oggi la loro opera di mantenimento di questa antico connubio di storia, culto e tradizioni popolari.




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Ex Ospedale (scuola media)

CENNI STORICI
Nasce per volontà e lascito testamentario del pievano Agostino Battaglia in data 30 marzo 1752 e sarà don Giuseppe Sandri ad istituirne i Regolamenti emanati il 26 settembre 1788 con Regie Patenti sotto il regno di Vittorio Amedeo lll .  “  l’Ospedale delli poveri infermi ”, come recitano i Regolamenti, si prefiggeva  di “....servire soltanto per li poveri infermi di malattia grave che saranno originari del Luogo e Parrocchia…ben inteso però, che occorrendo il caso che qualche povero forestiero venisse sovrapreso da grave malattia , o da qualche accidente in detto Luogo e parrocchia siavi ammesso…”. Per le persone abbienti e per residenti di altri comuni il ricovero era a pagamento.
L’Ospedale ammodernato e ampliato grazie ai benefattori Don Clemente Galleano pievano, on. avv. Ignazio Marsengo Bastia ed altri, verrà nuovamente inaugurato il 18 ottobre 1908. A metà degli anni ‘60 del secolo scorso cesserà la sua attività per diventare in seguito la sede della scuola media comunale. Per due secoli l’ospedale ha assolto al suo compito in questo borgo rurale assieme ad altre opere sociali di cui il paese era fecondo, come l’Asilo Infantile e altre Opere Pie  (Rasura, Mendicità istruita) che con due case ospitavano i poveri anziani del paese. 



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Chiesa di Santa Maria Assunta


DESCRIZIONE ARCHITETTONICA
L'edificio, a pianta longitudinale ed orientato con ingresso verso sud e abside verso nord, è il risultato di due distinti interventi: il primo vide la realizzazione della struttura originaria, il secondo l’ampliamento verso sud della medesima.
-       La realizzazione originaria, da ricondursi all’allora famoso architetto Planteri, in stile barocco, è costituita da un'unica navata con ai lati identificate quattro cappelle, due per ogni lato posizionate tra i contrafforti, a semplice pianta rettangolare. Tutta la parte esterna della chiesa e l'annesso campanile vennero realizzati in mattoni a vista, con struttura di copertura in legno e manto in coppi (navata centrale) o in lose (cappelle laterali).  La facciata è tripartita e caratterizzata dall'alternanza concavità/convessità tipica dello stile dell'epoca, scostata rispetto al corpo dell'edificio e con la presenza di due lesene originate da un'alta zoccolatura.
-       L’ampliamento verso sud vide invece la realizzazione di ulteriori due cappelle, una per parte, in aggiunta alle quattro equamente divise per lato già esistenti, e ricostruendo la facciata così come concepita dal Planteri due secoli prima e mantenendo quindi lo stile Barocco, in perfetta armonia con la struttura esistente.
Internamente la pavimentazione è in pietra, la volta sovrastante la navata è del tipo a botte, retta da archi a tutto sesto impostati su una muratura verticale. La decorazione della chiesa fu realizzata negli anni ’20, subito a seguito dell’ampliamento, e richiama motivi tipici del barocco piemontese. Due medaglioni decorano la calotta dell’ingresso e del coro. Il primo raffigura Santa Cecilia che suona l’organo, il secondo è la Cena di Emmaus. Lungo il fregio della trabeazione è dipinto un distico in latino, recita: “Lauda Sion Salvatorem, Lauda Ducem et pastorem, In imnis et canticis, quantum potes tantum aude, Quia major omni laude, nec laudare sufficis, Sumunt boni sumut mali, sorte tamen inaequali, vitae vel interitus”
(Sion, loda il Salvatore, la tua guida, il tuo Pastore con inni e cantici. Impegna tutto il tuo fervore egli supera ogni lode, non vi è canto che sia degno. Vanno i buoni, vanno gli empi, ma diversa ne è la sorte, vita o morte provoca.)
Purtroppo la decorazione, che ormai ha superato i novanta anni di età, comincia a dare notevoli segni di degrado ed in alcuni punti e quasi scomparsa, rivelando la decorazione sottostante più antica. Oggi la chiesa conserva un altare maggiore originale in marmo, con il tabernacolo a forma di urna sormontato dal ciborio sorretto da sei colonnine in marmo rosso, ed ai lati sei candelieri dorati. L’altare è datato 1769, e si conservano inoltre una serie di altari minori e cappelle dell'Immacolata, di San Giuseppe, del Sacro Cuore, del Crocifisso e di Sant'Anna, ed una una serie di tele dei pittori settecenteschi Alessandro Trono e Mattia Franceschini, particolarmente attivi nelle località del basso Pinerolese. Nel coro, sopra l’altare, vi è un grande quadro ovale con cornice dorata che raffigura “L’Assunzione di Maria Vergine”, attribuito ad Alessandro Trono, mentre appesa al soffitto, con un arganello di sollevamento che si trova nel sottotetto c’è una corona trionfale in legno dorato, che funge da baldacchino. 

CENNI STORICI
Storicamente le pievi sono sorte sin dai primi secoli del cristianesimo ( IV°- V° sec.), esse costituivano i primi centri ecclesiali impiantati fuori dalle mura cittadine, nelle zone rurali abitate dalla “plebe”.
L’attuale chiesa di S.Maria Assunta è stata costruita a partire dall’anno 1733 su progetto del torinese Gian Giacomo Plantery, tra i più insigni architetti della stagione del barocco piemontese. Essa andava a sostituire una antica chiesa plebana le cui origini sono probabilmente da collocare intorno all’XI° secolo come deducibile dalle memorie dei pievani e dal disegno della pianta riportato sul progetto del Plantery in analogia con altri edifici esistenti sul territorio con caratteristiche simili.
E’ in ogni caso certo che fin dal 1314 qui risiedeva un pievano, Pietro Prando, già canonico del duomo di Torino.
Fino al 1519 ( anno di fondazione della chiesa di S.Caterina) essa fu la principale chiesa in tutto il territorio di Scalenghe e sede dell’unica parrocchia del Comune fino al 1828. Come scrupolosamente documentato da don Pietro Berruto, a seguito del crollo del campanile e di parte del muro il 25 ottobre del 1732, si pensò in un primo tempo di ristrutturare la chiesa , ma sentito il parere del Plantery si optò per la riedificazione della stessa che vide il compimento in ogni sua parte nel 1739. A differenza della primitiva chiesa il cui orientamento era est-ovest , questa venne costruita sull’asse nord-sud. Nel 1913 per “porre rimedio” alle ridotte dimensioni della chiesa rispetto all’afflusso di fedeli, il pievano don Vincenzo Pinardi ne decise l’ampliamento e, demolita la facciata, questa fu ricostruita circa otto metri più avanti nel sostanziale rispetto dello stile.




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Cappella di San Rocco

DESCRIZIONE ARCHITETTONICA
La cappella presenta un portico separato dalla prospiciente strada da una cancellata metallica, con pavimentazione originaria in ciottolato. La copertura ha struttura lignea, con manto in coppi su portico (rifatto intorno all’anno 2011) e in pietra sulla cappella. La pianta dell’edificio è rettangolare ad aula unica.
La facciata è semplice, con portale orientato verso est e due piccole finestre ellittiche laterali in legno (con inferriate metalliche), e soprastante dipinto raffigurante San Rocco del pittore R.Bonelli (1886). Internamente la pavimentazione è in pietra, trabeazione con soprastante volta a botte con unghia e finestra in legno ed inferriata metallica sul lato sud. Attualmente permangono poche tracce della decorazione originaria. Sopra l’altare, sulla parete di fondo, si conserva un bell’affresco nel quale si riconoscono i santi Rocco, Sebastiano e Grato Vescovo di Aosta con Madonna e Bambino.
Dalle relazioni 1760 emerge la presenza di pittura esterna della B.Vergine con Bambino sul retro della cappella: purtroppo l’esposizione alle intemperie ha cancellato questa raffigurazione.

CENNI STORICI
Il più antico documento riguardante la cappella è un atto notarile datato 16 settembre 1630 che riporta l’elenco dei numerosi donatori del territorio che si impegnavano a elargire chi l’equivalente in denaro di terreni, chi carri di mattoni, chi quantità di grano e molti altri del denaro, per la “fabbrica” (ampliamento) e la gestione della stessa.
Sono citati circa 70 “particolari” (così venivano chiamati i capofamiglia) del territorio e questa sua caratteristica di essere nata dalla volontà popolare anziché per decisione ecclesiale o di patrocinio nobiliare, fa sì che S. Rocco venga considerata la Cappella “ propria della Comunità” come la definirono citandola negli elenchi delle cappelle, prima il Pievano Battaglia nel 1751 e in seguito il Teologo Aragni nel 1828.
Come le tante cappelle dedicate al Santo presenti nel nord Italia, anche questa fu eretta in concomitanza dell’epidemia di peste che imperversò tra il 1629 e il 1633 e che spinse la popolazione, nella totale assenza di cure adeguate, ad affidarsi unicamente all’intercessione di San Rocco, invocato fin dal medioevo come protettore dalla peste, per allontanare dalla comunità il mortale flagello. In tali circostanze, queste cappelle potevano servire anche come lazzaretto e dimora dei contagiati che venivano allontanati dalle case del paese.




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Chiesa Beata Vergine del Buon Rimedio

DESCRIZIONE ARCHITETTONICA
L’edificio è a pianta longitudinale ed ha ingresso rivolto a nord. La copertura ha struttura lignea e manto in coppi. La facciata ha due paraste angolari che racchiudono il portone in legno, oltre decorazioni pittoriche, due verticali ai lati del portone, non facilmente interpretabili, ed una ad esso sovrastante, avente la scritta G.M.G. E’ presente inoltre una finestra ellittica, sottostante il timpano triangolare, all’interno del quale è presente un orologio dipinto, recentemente riportato alla luce. Il piccolo campanile è datato 1952.
La struttura è ad aula unica, caratterizzata da due ampie nicchie laterali a semicerchio, occupate da altari e scandite da pilastri multipli e lesene, decorate con specchiature a finto marmo sui toni dell’arancio, mentre le pareti sono a campitura piena senape riquadrate con un filetto e motivi angolari. Volta e pareti sono divisi da una trabeazione con cornice superiore ampia e aggettante e fregio orizzontale che oggi si presenta di color azzurro pieno, ma che lascia presupporre l’esistenza di una decorazione preesistente.
La volta si compone di una cupola centrale dipinta con ai quattro angoli l’effige dei quattro evangelisti, archi e sottarchi mostrano una decorazione a grisaille con cornici e cascami in stile ottocentesco. Il manto decorativo così come appare oggi è stato eseguito con pittura lavabile intorno agli anni settanta da Costamagna, una ditta di decoratori locali piuttosto attiva nella zona. La pavimentazione è in pietra di Luserna, così come la zoccolatura esterna.

CENNI STORICI
Le prime notizie relative ad una cappella a Viotto risalgono al 1679 con la richiesta di Licenza per benedire le cappelle de Murisenghi e del Vigliotto, rilasciata all’allora Pievano Don Michelangelo Quaglia.
Non si trattava però dell’attuale chiesa, bensì di una cappella più piccola attigua alla cascina dei signori Giugali Chetto (ora cascina Roccia), demolita intorno al 1970. La chiesa attuale, invece, fu costruita nel 1780, con il contributo dei fratelli Viotto e di Giuseppe Molinero.
E’ ampiamente descritta nella relazione del Teologo Giacomo Aragni del 1828: “La cappella del Viotto, così detta dalla regione, sotto il titolo della Beata Vergine della Neve, trovasi in poca distanza dalle case dei rispettivi particolari, attorniata da un campo ivi attiguo, da un piazzale a mezzanotte e da una strada a ponente, esposta nella facciata a mezzanotte a passi trenta in circa dalla casa del cappellano ivi residente con una pittura sul muro al destro e sinistro lato, l’una di S. Filippo e l’altra di S. Luigi Gonzaga.” La sacrestia vera e propria fu costruita intorno al 1845 come risulta da un documento conservato nell’archivio di Pieve.
L’attuale campanile fu realizzato nel 1955 e la campana principale benedetta nel 1957. La ricorrenza della Madonna del Buon Rimedio, che coincide con la festa del borgo di Viotto, cade la seconda domenica di ottobre.




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Chiesa di San Maurizio

DESCRIZIONE ARCHITETTONICA
A pianta longitudinale, ha porta d’accesso sul fronte nord e abside semicircolare verso sud, è ad unica navata e si sviluppa lungo tre campate. La copertura ha struttura lignea e manto in coppi. La facciata è delimitata da due paraste e culmina con timpano arcuato. Al centro, sopra l’ingresso, vi è un’apertura incorniciata da elementi modanati che confluiscono in una croce. Lateralmente vi sono due specchiature entro cui sono raffigurati a sinistra S. Maurizio e a destra un Santo con saio francescano. La facciata ovest, rivolta verso piazza pubblica, è scandita da tre lesene ed è priva di decorazioni. Si può osservare che l’abside è in continuità con i locali pastorali a sud.
Internamente la volta è ellittica con unghie contenenti finestre, e posa su trabeazione. L’abside è suddiviso in tre spicchi, dei quali due con finestre.  La facciata ovest, rivolta verso piazza pubblica, è scandita da tre lesene ed è priva di decorazioni. Si può osservare che l’abside è in continuità con i locali pastorali a sud.

CENNI STORICI
La cappella dei Murisenghi, dedicata a S. Maurizio, fu eretta intorno al 1680 su un terreno di proprietà di Giò Battista e Tadeo Murisengo. La chiesa fu poi interamente ricostruita nel 1785 e benedetta nel 1787, come si rileva dalla Supplica per la benedizione presentata all’Arcivescovo di Torino da parte del Pievano Giuseppe Calvo.
In un documento del 1791 redatto dal Pievano Agostino Battaglia, viene descritta come “Cappella dei Murisenghi propria delli furono Giambattista e Tadeo Murisenghi, quale verte verso ponente, fatta a soffitto, di capacità 40 circa persone, con la sua campana per convocarsi il popolo”.
Nel 1820 fu restaurato il campanile, sistemato il pavimento e abbellito l’interno, come riporta la relazione sullo stato della Parrocchia del Teologo Giacomo Aragni, nella quale scrive: “si fanno delle collette onde far fronte alle spese necessarie per la manutenzione e decoro dell’anzidetta; tenevano i due massari presentanei soldi 300 di fondo, ma questi con mia approvazione vennero spesi intorno al campanile rovinato e in abbellire per entro la chiesa e ristorare il pavimento; la facciata della cappella guarda a mezzanotte e sovra la porta havvi l’immagine di S. Maurizio Martire.”
La commemorazione di S. Maurizio cade il 22 settembre e nella borgata, il Santo si festeggiava tradizionalmente nell’ultima domenica di settembre, con la messa e la processione.




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Cappella della Madonna della Neve

DESCRIZIONE ARCHITETTONICA
La struttura, in muratura, è a pianta quadrata con copertura lignea a quattro falde, manto in coppi, ha ingresso orientato verso ovest. La facciata ha porta in legno e due finestre rettangolari con inferriate metalliche ai lati, vi è un piccolo campanile laterale a vela con campana. Internamente si nota una pavimentazione a motivi geometrici ed un'acquasantiera in pietra.

CENNI STORICI
La cappella dedicata alla Madonna della Neve si trova in Regione Conterloira. Viene descritta nella relazione del Pievano Giuseppe Calvo, redatta nel 1760 come: “Cappella propria dell’Illustrissima Signora Contessa Casalgrasso, qual verte a ponente, fatta a soffitto di capacità di 80 persone, contenente Sacro Altare con figure sul muro rappresentanti la Vergine della Neve col Bambino, S. Rocco e S. Sebastiano.”
Dalla relazione del Teologo Aragni del 1828 risulta invece, che la cappella era divenuta in proprietà del Signor Gaspare Casalasco e: “ristorata recentemente dal medesimo, guarda il ponente e dalla cascina essa è distante circa passi cento, attigua alla strada che va a Buriasco e l’altra che conduce alla fabbrica della cascina…” il quale aveva l’obbligo di far celebrare, a comodo dei vicini e degli abitanti della cascina, una messa tutti i giorni festivi e di provvedere al celebrante “nella cascina un decente alloggio e franchi quattrocento a semestri maturati”.
Dalle caratteristiche tipologiche, si può far risalire la sua costruzione alla metà del sec. XVII. Ancora oggi nella cappella, l’ultimo venerdì di maggio si celebra la messa per tutti gli Alpini che “sono andati avanti” e si festeggia la Madonna della Neve il 5 agosto di ogni anno.




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Cappella della Immacolata Concezione (Cascina Morionda)

DESCRIZIONE ARCHITETTONICA
Situata alla destra del portone d’ingresso dell’omonima cascina, della quale era parte integrante, ha struttura in muratura, orientata con ingresso a nord, copertura a falde con struttura lignea e manto in coppi. La facciata, recentemente recuperata, presenta una porta centrale lignea, due finestre ellittiche laterali e decorazione con Madonna e Bambin. Internamente a pianta quadrata, la cappella ha altare con statua in legno raffigurante l’Immacolata Concezione.

CENNI STORICI
Non vi sono documenti storici relativi a questa cappella, la quale risulta annessa alla cascina Morionda da cui prende il nome. La sua esistenza è citata nella relazione del Teologo Aragni del 1828, relativa allo stato delle chiese e delle cappelle del territorio di Scalenghe, quindi in periodo antecedente alla costituzione della parrocchia di S. Caterina, nella quale viene definita come “la cappella propria della Congregazione di Carità, la settima cioè alla Morionda”.
Da un documento si evince che nel 1879 da detta cappella fu traslata la statua della "Concezione" e portata nella chiesa di Pieve. Quindi possiamo sostenere che data la statua presente questa cappella, comunemente denominata “della Morionda” fosse in realtà dedicata all'Immacolata Concezione. Dalle caratteristiche tipologiche, si può far risalire la sua costruzione alla metà del sec. XVIII.




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ex Chiesa di San Sebastiano (scuola materna)

DESCRIZIONE ARCHITETTONICA
Dall’analisi degli spazi interni e dalla documentazione storica rinvenuta, si deduce che la struttura principale, a pianta quadrata, è rimasta sostanzialmente invariata, e l’antistante portico storicamente citato è da collocarsi sul fronte sull’attuale piazza Comunale, in quello che presumibilmente era l’accesso alla chiesa, in direzione ovest, come d’uso all’epoca. Si suppone che la copertura originaria fosse a semplice tetto ligneo, mentre l’altezza utile interna è nei secoli stata ridotta a seguito di un ribassamento con la costruzione di volta a crociera in muratura. A causa poi dell’utilizzo dei locali come asilo e della realizzazione di solaio a dimezzare l’altezza utile del locale originario, le pareti sono state negli anni intonacate e tinteggiate, a coprire le pitture murarie, ma permangono chiari segni della loro presenza sia nella porzione al di sotto della volta, sia in quella al di sopra (l’attuale sottotetto), quindi realizzate in epoca antecedente la creazione della volta in muratura. L’antico campanile si presume fosse posto su lato nord, nel locale quadrato che oggi disimpegna il vano scala dall’accesso ai locali dell’antica chiesa, e che ospitava al suo piano terreno la sacrestia ed era alto “un piano più della chiesa”.

CENNI STORICI
La Chiesa di S. Sebastiano costituisce con tutta probabilità uno dei più antichi edifici di culto presenti nell’originario abitato di Scalenghe, insieme con le Cappelle della Madonna della Riva e di S. Lorenzo, delle quali non permangono purtroppo tracce visibili. Della sua esistenza troviamo le prime testimonianze in un documento del 1586 contenente una relazione scritta dal Canonico Giovanni Battista Cavoretto, Prevosto della collegiata di Moncalieri che in visita a Scalenghe ne cita la presenza come luogo di sepoltura dei feudatari locali.
(Durante la prima azione della controriforma, negli anni 1584-85, Monsignor Peruzzi Vescovo di Sardina e visitatore apostolico di Papa Gregorio XI, fece una relazione sullo stato delle parrocchie visitate in Piemonte. Nel 1586 a Scalenghe venne inviato come visitatore delegato di monsignor Peruzzi il Canonico Giovanni Battista Cavoretto dei Signori del Bel Riposo, Prevosto della collegiata di Moncalieri. Nella sua relazione la Chiesa di Santa Caterina viene descritta come piccola e non ancora Parrocchia; era parroco all'epoca Don Biagio Brizio. Cita la presenza della Cappella di San Lorenzo all'interno della torre del Castello e della Cappella di San Sebastiano adibita a sepolcro dei feudatari, sul luogo ove ora sorge l'asilo, ivi era cappellano Don Bartolomeo Margaria).
Sarà proprio questa la caratteristica distintiva della Chiesa di S. Sebastiano sino alla sua decadenza, ovvero l’essere un beneficio proprio ed esclusivo del casato dei Signori di Scalenghe e pertanto secondo l’usanza del tempo il loro luogo esclusivo di sepoltura.
Notizie più accurate le troviamo nella relazione sullo stato della parrocchia di Scalenghe redatta nel 1770 dall’allora Pievano Paolo Giuseppe Antonio Calvo che oltre a descriverne il sito all’interno della cinta muraria, la sua consistenza quale edificio quadrato con soffitto a volta, antistante portico, proprio campanile e sacrestia oltre alla casa del Beneficio e orto (giardino), lo stato di conservazione, già problematico, cita il 1451 come anno della sua consacrazione ad opera del Monsignor Ludovico Romagnano, il giorno 21 Febbraio secondo un’iscrizione murale allora leggibile al suo interno e conferma il giuspatronato spettante al Conte Olgiati di Vercelli, erede del casato Folgore di Piossasco.
(È eretto nella Chiesa propria e sotto lo stesso titolo di S. Sebastiano situata nel recinto del luogo di Scalenghe con la facciata verso ponente corrispondente alla piazza, tra l’ala comunale e la casa degli eredi Fu Signor Medico Ignazio Barberis, chiesa molto antica che è stata come vogliono consacrata da Monsignor Ludovico Romagnano nel 1451, ma al presente in pessimo stato. Nella facciata vi è un portico, che dà l’ingresso in chiesa, fatto a soffitto, e poco decente: la chiesa è di forma quadra di mediocre grandezza, capace di più di duecento persone, alta abbondantemente e fatta a soffitto: il soffitto è dipinto, ma guasto e rotto in più luoghi, trasparendovi il tetto per le fessure ed essendone già caduto qualche pezzo, onde finché non sia riparato non vi si può celebrare. A destra della chiesa c’è il campanile, con sua campana, quadrato ed antico, alto di un piano più della chiesa: nel Campanile vi è un camerino, che serve da sacrestia, ed lì accanto vi è la casa del Beneficio con suo orto, che si estende dietro la chiesa. Vi è un solo Altare affisso al muro, con sopra un quadro con cornice colorata rappresentante il martirio di S. Sebastiano; si sa però che anticamente vi era un quadro più grande rappresentante il suddetto ed altri Santi: l’Altare è di mattoni con due gradini sopra consimili, una predella di legno, ed un contraltare dipinto; la mensa è lunga piedi 4,5; larga once 16; alta piedi 2. Vi è la pietra consacrata portatile larga once 9, distante dalla fronte dell’Altare once 3. La porta si chiude con sue imposte, ma rozze e vecchie, improprie per una chiesa: c’è nella Chiesa un tumulo o tomba di sepoltura, chiuso con pietre e destinato al patrono del beneficio e sua famiglia come nel capitolo XI. – Sul documento c’è un cancellatura successiva per mano di Don Ricolfi – in cui sono scolpite queste parole: Sepulchrum hoc Comes Carolus Emanuel Olgiati Beneficii Patronus sibi suisque; restauravit anno 1730 die 14 Septembris. A lato dell’altare vi sono due finestre alte, con loro imposte che danno tutta la luce alla chiesa; ce n’è una nel muro laterale destro, ma questa corrisponde in una stanza alta del Beneficio, e serve quasi da tribuna; nell’altro muro dirimpetto si legge la detta iscrizione indicante la consacrazione della Chiesa, cioè 21 Febbraio 1451, e vi sono pure in diversi lati tre croci dipinte sul muro di color rosso: nel muro laterale destro verso terra vi è una pittura rappresentante Maria Vergine che allatta il Bambino; la quale mi sembra poco decente specialmente riguardo al sito in cui si trova; vi sono però appesi vari voti di cera; il pavimento non è guasto, ma molto umido, come lo sono i muri. Il Beneficio è di giuspatronato laicale dell’Illustrissimo Signor Conte Olgiati di Vercelli del fu Signor Conte Carlo Emanuele, il quale non ha altra prerogativa sul benefizio, se non il patronato di esso e della chiesa, e per conseguenza il jus sepolturae nella medesima, come dalla stessa iscrizione della pietra sepolcrale appare. Il Beneficiato è l’Illustrissimo Signor Canonico Coadiutore nella Cattedrale di Vercelli Lucio Antonio Olgiati, fratello del Patrono, d’età d’anni trenta circa, che è stato nominato dal fu suo Signor Padre, ed istituito dall’Illustrissimo Reverendissimo Signor Abate Buglioni nell’ottobre del 1767).
La Chiesa manteneva attiva la sua funzione ancora nell’anno 1828 quando il Pievano Teologo Giacomo Aragni di Scarnafigi in un’altra relazione sullo stato della parrocchia a sua opera la descrive come regolarmente gestita con la celebrazione della messa quotidiana all’alba dal Priore Giovanni Pietro Barreri, nativo di Oncino, investito del Beneficio dalla Curia nell’anno 1819 previa nomina dell’ “Illustrissimo Sig. Conte Alessandro Olgeati, Colonnello delle Regie Armate” al quale ancora spettava in quegli anni il giuspatronato su S. Sebastiano e la nomina del suo sacerdote.
(Nel centro della piazza in Scalenghe, havvi esposta al ponente la Cappella di S. Sebastiano di una mediocre ampiezza alla quale vi è annesso il benefizio degli Illustrissimi Signori della casa Olgeati di Vercelli col peso della Messa quotidiana in aurora; in detta cappella ci sono due benedittini, ossia mortai di marmo, onde ritenere l’acqua lustrale con banchi e banchette, credo, ivi introdotte con permissione del beneficiato dai particolari, se pure alcuni non saranno propri di detta Cappella o Benefizio. L’altare egli è composto di mattoni e colorito, la mensa ella è di quattro piedi e un quarto d’oncia di lunghezza, un piede e once quattro di larghezza, due piedi circa di altezza, la pietra consacrata trovasi in buono stato. Di sopra l’altare vi ha l’icona di S. Sebastiano, e dal destro e manco lato sono appesi i quadri dei quattro principali Dottori di Chiesa Sana, uno delle cinque vergini prudenti, l’altro della donna adultera, tutti in buono stato, e regalati dal Sig. Beneficiato presentaneo, quale si è in persona del Molto Illustrissimo Sig. Sacerdote e Priore Giovanni Pietro Barreri, nativo di Oncino e da più anni domiciliato in Scalenghe, investito di tal benefizio dalla Curia Arcivescovile nel dicembre 1819, previa nomina dell’Illustrissimo Sig. Conte Alessandro Olgeati, Colonnello nelle regie armate, cui di tale cappella e benefizio spetta il Giuspatronato e nomina. Questa cappella inoltre ha al fianco sinistro una piccola sacrestia palchettata con un bancone ove si ripongono gli arredi sacerdotali all’uso quotidiano necessari, mentre a cagione del pavimento umido e aria per anche umida ritiene in casa ben custodite le suppellettili più preziose, quali consistono in una pianeta di seta col fondo bianco e ornata di fiori con gallone di similoro provveduta dal Sig. Beneficiato; altra pianeta di seta con fondo bianco e fiori di vario colore in mediocre stato; altra pianeta nera in seta con galloni di bombace e filo in buono stato, un calice colla patena tutto ben inargentato e indorato, due corporali, due animette di lino bianche, due altre di seta, camici tre di lino, e uno di camerale, sei mantili di tela lavorata, sette amitti, otto serviettini, venti purificatori; ogni cosa pulita, ben tenuta e decente dal zelante priore presentaneo; riguardo ai pesi e redditi dirassi poscia a suo luogo trattando dei redditi, pesi e legati).




Documenti allegati:
Pianta piano terreno
Pianta piano primo
Pianta sottotetto


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